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ROBERTO CIPRESSO, IL WINEMAKER CHE CREA EMOZIONI

by Serena Aversano

35 anni di lavoro alle spalle, winemaker. Gli piace girare il mondo e il suo vino preferito è quello maturo, in grado di sopravvivere alla sua stessa storia; lavora per le firme del vino più blasonate e a Montalcino ha costruito la sua cantina/laboratorio inaugurata nel 1995, dove crea, produce, sperimenta e si diverte. L’ho incontrato ad Asolo al Festival del Viaggiatore e mi è piaciuto subito: empatia immediata, come se lo conoscessi da una vita.

Una breve chiacchierata mi è bastata per capire che è un uomo “complesso”, che ti guarda negli occhi e che riesce con lo sguardo a metterti a nudo, come per scavarti dentro. In mezz’ora ho capito che prende tutto molto sul serio…e guarda dove è arrivato!!!

Roberto Cipresso

Dopo una vita in stile “mission impossible” in giro per il mondo – Sud Africa, Australia, Argentina, California – Roberto Cipresso ha trovato il suo porto sicuro a Montalcino, a Poggio al Sole, ai piedi della collina di Sant’Angelo; una piccola tenuta di due ettari, niente chimica e pratiche agronomiche rigorosamente manuali  e dove produce i suoi Brunello e Rosso di Montalcino: poche migliaia di bottiglie da vigneti-giardino gestiti con cura quasi maniacale, qualcosa di unico insomma.

Ad Asolo ha affascinato tutti con il suo racconto del concetto di “terroir diffuso”, basato su coltivazioni allineate lungo il 43esimo Parallelo: il progetto si chiama Cipresso 43, ospita il marchio “La Quadratura del Cerchio” – da sempre simbolo dei suoi lavori sperimentali – e nasce e si sviluppa in Winecircus, la cantina/incubatore/centro di ricerca e sviluppo alle porte di Montalcino.

QUALE E’IL VALORE DEL VINO OGGI?

“La sua capacità di allenarti a cogliere i cambiamenti: il vino ti fa capire l’importanza dello spirito di osservazione e ti fa vedere le cose da angolature diverse, non consuete. Da sempre i più colti dubitano ogni giorno di quello che sanno e ad oggi ci sono ancora degli aspetti del vino che non hanno avuto delle risposte. Un bravo winemaker deve concentrarsi sull’attimo, e le sue scelte sono determinanti. Basti pensare che con la stessa identica uva 4 produttori con mentalità e cultura differenti possono fare 4 vini fantastici ma completamente diversi, solo perché scelgono di trattenere degli attimi lasciando invece che altri scorrano via, e ascoltando semplicemente il loro istinto.

Come è successo con la Dorona, l’antica varietà autoctona della laguna veneta che ho recuperato lavorando al fianco della famiglia Bisol per produrre Venissa, il vino d’oro di Venezia. Quest’uva racconta delle storie pazzesche, di agricoltori di tempi remoti che, inseguiti dai barbari, fuggono con le loro barche senza dimenticare, insieme ai pochi oggetti indispensabili raccolti nella fretta, qualche piantina delle viti degli avi, come simbolo di continuità e di speranza, per proseguirne la coltivazione sulle isole di approdo come Mazzorbo. La grande sfida della Dorona è raccontare il pathos di questa storia, e trasmetterne i valori. Il vino spesso ci fa evocare qualcosa che abbiamo vissuto: ci sono assaggi portentosi, in grado di dischiudere e riportare in vita un ricordo lontano nel tempo, o di farci vivere atmosfere e sensazioni di posti lontani. Tutto questo è incredibile! Si può assaggiare un vino da uve di Dorona e vivere contemporaneamente tutta la drammaticità delle vicende che evoca e di cui è il simbolo.

QUANTO CONTA L’EMOZIONALITA’ IN UN VINO?

“I vini si dividono in due categorie, quelli che danno soddisfazione e quelli che riescono ed emozionare.

Quello che ti emoziona riesce a portarti nel luogo – ben definito e fatto di intrecci di terre, di climi, e di uomini – dal quale proviene:e quando il vino ha a che fare con il suo paesaggio diviene veramente intrigante! I bravi degustatori riescono ad esempio a capire se un vino è stato prodotto nel nuovo o nel vecchio mondo: è questo ciò che succede per i vini di terroir, vini di emozione i cui assaggi ti portano subito in una ben definita atmosfera e ti raccontano una storia affascinante e dettagliata.

Credo poi che a volte un bravo enologo debba lasciarsi guidare dall’istinto, per fare un grande vino e cogliere l’attimo, perché in alcune situazioni un problema può diventare un’opportunità. Come quando decidi di produrre un vino con metodo charmat dalle uve lasciate a terra durante il diradamento, praticato per migliorarne la qualità. E’ così ad esempio che è nato il mio Altrove: ottenuto da diradamento tardivo di uve di Sangiovese destinate a produrre Brunello di Montalcino, è un vino “leggero” in ogni senso, perché traduce in concreto il concetto di sostenibilità, dando nuova vita ad uve che altrimenti sarebbero state scartate.

COME COMUNICARE IL VINO OGGI? E’SUFFICIENTE PARLARE DI QUALITA’?

La qualità nel senso di buono stato di salute e di equilibrio organolettico è un obiettivo che è stato perseguito, peraltro con successo da molte realtà, nei decenni precedenti. Adesso è un dato per lo più acquisito, un valido ed imprescindibile punto di partenza ma non sufficiente a vincere la spietata concorrenza dei nostri tempi.

Attualmente il concetto di qualità si fa spesso coincidere con il ricorso al regime biologico, che però, se non è supportato da una vera e propria “disciplina bio”, fornisce informazioni solo parziali, anche per ciò che riguarda specificatamente il rispetto dei naturali equilibri dell’agroecosistema.

“Certamente non si può parlare di qualità senza perseguire il concetto di sostenibilità ambientale, ed il tipo di “certificazione” che prediligo in tal senso è quella che fa riferimento agli indici che servono a definire il bilancio di ogni azienda relativamente all’anidride carbonica emessa nell’ambiente rispetto a quella ad esso sottratta attraverso tutte le attività che nella stessa azienda vengono svolte annualmente. Trovo questo la misura più corretta ed attendibile del grado di rispetto di ognuna”.

La sostenibilità di un progetto aziendale deve infine secondo me essere valutata nella sua accezione più complessa e completa, ed ha a che fare anche con le scelte compiute in campo sociale, etico, economico.

QUALE SARA’ IL FUTURO DEL VINO?

“Il vino del futuro è a mio avviso quello che, alla sostenibilità intesa nel suo significato più ampio, unisce l’originalità associata all’autorevolezza e alla inattaccabilità degli argomenti che esprime. In tal senso, le strade da percorrere, dove è possibile, sono la ricerca storica, l’innovazione e la scoperta, ed infine il concetto di genius loci: ci sono vini che sono perfetti così come sono perché le loro uve corrispondono perfettamente al suolo e al clima che le alimentano, ma anche al paesaggio, fisico e umano, che le custodisce.

Se si parla poi di surriscaldamento climatico, credo che il mondo viticolo dovrà spostarsi sempre più in alto, con varietà sempre più precoci.”

QUALE ‘ IL TUO VINO DEL CUORE?

“Nel corso degli anni, le mie preferenze del momento ed i miei interessi hanno subito dei cambiamenti e delle fluttuazioni: nel 1990 mi sono innamorato del Syrah, in particolare quello prodotto in Australia – vini muscolari, di grandi volumi; nel 2000 mi sono lasciato conquistare dal Pinot Nero e dai vini più eleganti; la mia passione per lo Champagne è stata piuttosto tardiva, ed oggi infine prediligo i vini maturi, in grado di sopravvivere alla loro storia e ai loro autori”.

Serena Comunicazionewww.serenacomunicazione.com

Donne del vino www.ledonnedelvino.com

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