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Camilla Rossi Chauvenet e il coraggio di percorrere nuove strade di comunicazione

by Serena Aversano

Ho incontrato la vulcanica Camilla, la giovane vignaiola che a 37 anni gestisce un azienda a Mezzane in Veneto e da qualche anno in Manduria, nella parte opposta dello stivale, dove clima e metodi di coltivazione della vigna sono differenti. Tornata da studi universitari in Italia, Spagna e Francia dove ha imparato a conoscere la vinificazione e la viticoltura nel 2003 ha avviato Massimago, ristrutturandola e solo un anno dopo ha lanciato la sua prima annata.

Camilla Rossi Chauvenet e Serena Aversano durante la visita alla Cantina Massimago

Il suo obiettivo più grande è quello di inseguire il proprio sogno, diventare produttrice di vino da uve autoctone capaci di esprime identità nel bicchiere. “Voglio fare vini bevibili” mi ha detto e grazie alle sue idee audaci e coraggiose è diventata in pochi anni un astro nascente tra i produttori del Veneto.

“Il mio è un sogno che sta prendendo forma, a tutt’ora ha bisogno di grandi energie e di tempo.

Ho iniziato nel 2003, quando parlando con la mia famiglia ho deciso di buttarmi anima e cuore nel mondo del vino.  Abbiamo creato una squadra, anche i miei erano stupiti che questa cosa potesse prendere forma, non avevamo amici che si occupavano di vino, non sapevamo quale fosse la quotidianità di un azienda del vino. Ho sacrificato gli anni più belli, le mie amiche andavano a Londra e io qui a Mezzane, anche se alla fine sono felice di aver dedicato molto del mio tempo a quest’azienda, Massimago l’ho vista crescere un pò alla volta, come fai con un bambino a cui dedichi  cure a attenzione”.

Ti sei ispirata a qualcuno o a qualcosa? Non deve essere stato facile..

Grazie a questi viaggi ho avuto modo di conoscere anche mondi diversi nello stesso settore, interpretazioni differenti che poi ti ispirano e che ti danno la voglia di innovare nell’impostazione, interpretando la mia idea di sostenibilità e di biologico. Sono stata una delle prime qui ad avere la certificazione nel 2014 e ho portato avanti tutta una serie di scelte che ho voluto fare per trovare una identità,  per reagire al sistema vuoi cambiare le cose e vuoi essere rivoluzionario,  quando hai questa libertà vuoi entrare in questo mondo  e dire la tua, come hanno fatto i barolo boys negli anni Ottanta una generazione di contadini di Langa che, ha cambiato modo di interpretare e comunicare il più famoso vino rosso piemontese. All’epoca io cercavo di dire la mia e a tutt’oggi ho impostato i vini e le etichette in modo da essere fresca e coerente. 

Come hai interpretato la sostenibilità, argomento molto forte oggi?

La sostenibilità è una filosofia di vita, mi sono iscritta ad un master in biodinamica, proprio perché voglio imparare e capire,  noi siamo bio, la sostenibilità è anche questo, una serie di scelte che abbiamo fatto sia in vigneto che in cantina, per cercare di essere coerenti  e di avere una linearità, una sorta di percorso con precise scelte di vita.

Quindi il tuo percorso non si ferma al biologico….

Siamo una delle pochissime aziende che hanno un bosco all’interno della tenuta con un percorso che proponiamo ai nostri ospiti. Ho sradicato e buttato giù un pò di cose, perché per innovare devi rigenerare, dal bosco al vigneto.  Il nostro fruttaio ad esempio non è uno spazio chiuso, noi abbiamo cercato di andare controcorrente. Si ispira alla filosofia zen, è sostenibile e completamente in legno, in cui vengono appassite le uve per la produzione di Amarone e Ripasso. È importante che l’uva non scoppi e non si ammuffisca  durante il processo di appassimento e per questo è stato installato un sistema di ventilazione ideale senza macchine. Qui gli ospiti ci regalano messaggi d’amore come fecero Romeo e Giulietta in passato e che trasmettono all’uva un ritorno di energia forte, che cresce con questi pensieri positivi.

Qui ci troviamo al centro della nostra tenuta e con una differenza di suoli che danno valore alle nostre uve. La nostra cantina è un pò come un garage stiamo imbottigliando il Valpolicella base all’esterno e abbiamo deciso di essere artigiani per valorizzare la materia prima, la qualità delle nostre uve ed è per questo che abbiamo deciso di investire nel fruttaio.

Perché la scelta di investire in Puglia?

Poi una decina d’anni fa ci è capitata l’occasione di investire in Puglia, all’epoca i terreni costavano pochissimo e all’inizio io ero anche un po’ contraria. Le sfide da affrontare non sono state poche poichè nonostante il terreno fosse relativamente economico è stato estremamente costoso creare un’infrastruttura per ricevere acqua ed elettricità e si sono dovuti pagare numerosi permessi per trovare un’altra cantina a Manduria dove poter produrre il vino finchè non fosse stata pronta la cantina della struttura”.

La Masseria Cuturi 1881 è una bellissima proprietà che ho visitato personalmente di 270 ettari di cui 25 dedicati a vigneti e circa 80 ettari di uliveto, il restante a bosco, dove l’ospite è al centro dell’attenzione. All’antica fattoria con annesso frantoio-museo si affianca una struttura ricettiva con una decina di camere, accoglienti e spaziose e da un mese è aperto anche il ristorante Don Tumà, con una bella terrazza che si affaccia sui vigneti. Ad accogliere gli ospiti c’è Marco, Michele e il giovane chef pugliese Giannico Carruggio. La sua cucina è ricca di sorprese e utilizza le verdure dell’orto e il pescato del giorno con una sapiente combinazione di creatività e innovazione. In tenuta attualmente si trovano vigne di Primitivo, Negramaro e Fiano..

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